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È il tempo della scienza: il nostro orizzonte è così profondamente segnato da essa, da renderla ormai una sorta di koiné culturale, un "linguaggio comune" cui ogni altro deve rapportarsi. Anche per la teologia - ma prima ancora per la stessa fede cristiana - diviene imprescindibile interpretare le domande che scaturiscono dal confronto con il linguaggio della scienza. Perché dovremmo credere in Dio, se abitiamo un mondo che la ricerca scientifica descrive così bene senza mai nominarLo? E perché parlare ancora di etica, quando la semplice descrizione dei comportamenti risulta tanto più efficace rispetto alla loro prescrizione? Di qui la scelta di confrontarsi con l'evoluzionismo di matrice darwiniana, oggi apparentemente un vero e proprio fronte di lotta per il rapporto tra scienza e fede, con implicazioni forti anche per l'etica. La prospettiva è di coniugare un biocentrismo attento alle differenze e un antropocentrismo non esclusivista. Evitando gli estremi fondamentalisti sia dello specismo sia del creazionismo, si osserva che se la domanda sul senso dell'esistenza non si esaurisce nelle teorie evoluzioniste, queste ultime lasciano aperta la possibilità di un discorso filosofico e teologico.